Gestire l’on boarding con le wiki di Azure DevOps

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Mai come negli ultimi tempi, ho iniziato a fare analisi riguardanti l’on boarding dei nuovi assunti in azienda. Per noi la parte di ricerca del personale e il conseguente percorso iniziale con il team sono argomenti di massimo interesse. Del resto, il futuro è basato per la maggior parte su come ci si muove fin dai primi istanti.

Devo essere sincero, fin dalla sua nascita, l’azienda è stata fatta sempre e solo di tecnici e, in quanto tali, abbiamo sempre dato molto peso all’approfondimento delle tecnologie e delle pratiche legate al mondo dello sviluppo.

Poi qualcosa è cambiato. Abbiamo iniziato a ragionare in termini davvero people-first, anche per necessità di crescita. Già dopo un paio di anni abbiamo iniziato ad assumere al di fuori di quel contesto costruito praticamente su amicizia e conoscenze comuni. Di recente, poi, è arrivata una crescita del personale del doppio delle unità e da qui la necessità di affrontarelne la selezione ancora più in maniera oculata e precisa.

In ogni punto del ciclo di vita aziendale abbiamo qualcosa definito in wiki.
[…] oggi le wiki sono piuttosto complete anche se, probabilmente per un tempo limitato

Insomma, l’on boarding diventa un momento in cui investire, non solo per chi deve crescere in quell’istante, ma anche per chi deve preparare materiale per il futuro e per chi arriverà. Per noi, il “dove” in cui mettere il sapere è la wiki di Azure DevOps. Una delle nostre principali alleate, tutti i giorni.

Come utilizziamo la wiki

In ogni punto del ciclo di vita aziendale abbiamo qualcosa definito in wiki. L’on boarding é il primo capitolo di uno strumento che accompagnerà i membri dei nostri team ogni giorno. L’elenco delle cose da avere, il nostro welcome kit, è anch’esso su di una pagina wiki che illustra a chi è stato assunto gli strumenti e gli accessi disponibili. Da lì, un “get started” fornisce gli step per creare la propria workstation e avviare la nostra piattaforma, come gira effettivamente in produzione, solo più effimera.

Di certo, ora è semplice a dirsi, l’implementazione degli strumenti descritti, come gli script di automazione del provisioning della sandbox o del database su container, ha richiesto anni di osservazioni e miglioramento continuo. Per cui solo oggi le wiki sono piuttosto complete anche se, probabilmente per un tempo limitato. Tuttavia, quando si entra nel mood del “continuous” è tutto all’ordine del giorno.

Per usufruire di questo vantaggio però, è necessario avere nel DNA aziendale concetti di cambiamento e miglioramento continui

La documentazione dei processi

Documentare un processo aziendale tramite una wiki può essere visto come un costo, soprattutto quando l’azienda cambia non poco spesso. Ma la wiki in sé non può definirsi tale, anche perché si trasforma subito in un ritorno dell’investimento non appena consumata dalle persone che lavorano in azienda. Per usufruire di questo vantaggio però, è necessario avere nel DNA aziendale concetti di cambiamento e miglioramento continui. Se si prevede nelle proprie pipeline di sviluppo una parte di wiki (attenzione, documentazione non di progetto semplicemente, ma di processo e di tutto quanto è il sapere dell’azienda) esso poi, col tempo, entra nel DNA di tutti e anche chi diventa il tutore di chi inizia il percorso con noi passa il modus operandi ai propri adepti, rendendo, di fatto, il procedimento inarrestabile. Uno di quelli di cui non si può più fare a meno.

Un modus operandi alla portata di tutte le realtà

Credo che questa abitudine sia assolutamente alla portata di tutti ma, allo stesso tempo, applicabile dipendentemente da vari fattori.

Partire daccapo ed ereditare situazioni

Per chi ha la fortuna di iniziare qualcosa daccapo, come un progetto o una migrazione culturale, direi che basta iniziare col piede giusto. Chi eredita, invece, situazioni Legacy, non orientate ad un approccio iterativo come vale per DevOps o Agile, potrebbe avere non pochi problemi. Perché comunque si parla di mindset.

Per ottenere risultati da un procedimento di questo tipo è necessario prima abbracciare la cultura del cambiamento e del miglioramento continuo. Se non si è pronti a ciò, il rischio è quello di avere una bella wiki all’inizio, derivante da un progetto dedicato alla sua creazione, e poi trovarsi a definirla obsoleta in poco tempo. Qualcosa di cui fare manutenzione che fa solo perdere tempo e, di conseguenza, che fa perdere fiducia nello strumento, nel suo utilizzo e nella metodologia.

Innestare tutto quanto nel processo di selezione del personale

Avendo una wiki per come fare le interviste e i colloqui, sia per la parte attitudinale sia per la parte tecnica, risulta tutto molto naturale. Gli stati della pratica di assunzione sono su di una board di Azure DevOps, in cui viene seguito il procedimento completo, dalla ricerca, ai colloqui, all’assunzione, alle licenze e fino alla burocrazia. A supporto di questo, gli step indicati sulla wiki alla sezione “hiring”, dedicata ovviamente all parte di assunzione. Come è facile capire, gli strumenti sono a supporto di una radicata cultura orientata all’organizzazione, nell’ottica di ridurre gli sprechi e le perdite di tempo, portando, di fatto, valore aggiunto tramite ogni cosa che si fa. O almeno ci si prova.

Crescita professionale e futuro della persona

Anche per questo abbiamo, guarda caso, wiki che descrivono come la persona verrà accompagnata e come pian piano, o meglio, nei tempi che il “tutore” decide essere consoni, crescerà. Proprio adesso stiamo lavorando ad una sezione in cui si gestisce parte del mantenimento del rapporto, la crescita professionale in generale e le posizioni aperte in azienda, tramite un organigramma che mostra cosa manca e cosa abbiamo. Personalmente, tengo allineate wiki private su progetti dedicati nelle quali vi sono i punti salienti dei nostri one-to-one trimestrali. Come viene fatto un incontro one-to-one è ovviamente descritto in wiki, tanto per cambiare.

Conclusioni e suggerimenti

Come per ogni cosa che metta in relazione uno strumento con un modo di procedere più culturale, è fondamentale che si parta dalla cultura, appunto, e che lo strumento sia un efficace supporto. Consiglio di cercare strumenti per fare wiki che siano vestiti sui vostri processi, in modo da evitare inutili sprechi di tempo. Considerate che ci sono voluti anni nella nostra realtà, che praticamente è nata su pilastri DevOps e Agili.
Inoltre, la wiki non deve essere un trattato approfondito di tutto lo scibile aziendale. Preferite la formula “bullet point”, quindi liste, piuttosto che scrivere paragrafi infiniti. E preferite che tutti possano proattivamente metterci le mani, in fondo è l’approccio giusto.
Legato anche al punto precedente, una wiki non dovrebbe essere una perdita di tempo. Se passate più tempo a gestirla significa che qualcosa non è corretto. Più cose non salienti scriverete, più cose potenzialmente cambieranno e quindi dovranno essere verificate e modificate. Va dosato il rapporto costi/benefici.
Infine, una volta entrati nel mood, valutare anche di usare non solo le wiki per documentare processi, ma anche quelle di codice, per sfruttare i repository al meglio, come vale per i repo GitHub. Con Azure DevOps questo è praticamente naturale.

Insomma, le wiki possono essere viste come un potentissimo strumento a supporto dell’organizzazione aziendale, anche per dare un’immagine della propria realtà in totale trasparenza e in accordo con il lavoro di tutti i membri dei team e dei dipartimenti. Una vera alleata.

La salita, da un altro punto di vista

Di Ilaria Ottonello.

Oggi sto mettendo in pratica quanto fatto durante il mio primo pellegrinaggio a metà
settembre per tirare le somme di questo ultimo anno. Durante la prima tappa ho sempre e solo guardato avanti: non volevo perdere l’obiettivo quindi avevo gli occhi puntati dritti davanti a me, sempre verso la curva o la strada che dovevo raggiungere.

Il viaggio

Durante la seconda, e la terza, ho incontrato i primi saliscendi e dal momento che non
mi posso definire una persona atletica al termine di una salita mi prendevo trenta
secondi a riprendere fiato. Arrivata ai piedi della successiva me ne prendevo altri
trenta per sbuffare un pochino prima di affrontarla e guardavo verso il basso nel
mentre che la percorrevo, concentrandomi sui piedi, per vedere dove li mettevo e non
inciampare. Le uniche due direzioni in cui ho sempre puntato gli occhi sono davanti a me e ai piedi. Alla fine di una brutta salita un sussurro è giunto alle mie orecchie: “Fermati trenta
secondi in più, per riprenderti, e prova a dare uno sguardo dietro di te”; mi sono
voltata verso quella che, vista da quella posizione, era una discesa bella ripida e, forse
per la prima volta, ad alta voce mi sono detta: “I miei complimenti” e dopo un pat-pat
sulla spalla mi sono avvicinata a quella successiva con un sorriso, guardando in alto.
Da quel momento mi sono sempre voltata alla fine di una salita per apprezzare anche
solo brevemente la riuscita di quel tipo di strada che non mi piace proprio per niente
(se si è in montagna :D)!

Il cambiamento

384 giorni fa ho cambiato lavoro e adesso è giunto il momento di guardare un po’
indietro. Come altri eventi della mia vita ha avuto inizio in un modo un po’ particolare:
un’occasione, arrivata a mo’ di fulmine, che ho colto senza esitare nonostante sapessi
che le differenze sarebbero state parecchie e anche belle impegnative.
Per menzionare le più ovvie al primo impatto:

  • Avrei iniziato a parlare di software e di scommesse invece che di stoffe e
    macchine da cucire.
  • Sarei entrata in un’azienda composta interamente da uomini, quando per sei
    anni ho lavorato solo con donne.
  • Avrei iniziato un lavoro da scrivania quando per sei anni mi sono mossa come
    una trottola.
  • Avrei preso contatti con molti nuovi colleghi, anche a distanza, quando per sei
    anni ho lavorato con otto anime, al massimo, condividendo tutti i giorni gli
    stessi spazi.
  • Avrei avuto un ruolo definito quando per gli ultimi quattro anni mi sono
    destreggiata nel cercare di trovare il mio posto in un ruolo che mi era stato dato
    perché “è l’ordine naturale delle cose”.

Ho pensato mi ci sarebbe voluto molto tempo, ma davvero tanto, prima di riuscire a
colmarle, e di strada ne ho ancora da fare eh, ma in verità posso affermare di averne
già viste avviarsi, evolversi e alcune anche realizzarsi realizzarsi nel giro di questo
primo anno: ho contribuito e seguito progetti in questo nuovo mondo che era
completamente nuovo, ho seguito l’onboarding dei nuovi assunti, ho visto nascere due
dipartimenti, di cui ne sono stata responsabile pro tempore, sono stata coinvolta in un
viaggio all’estero che mi ha dato l’opportunità di guardare da un’altra prospettiva
questo nuovo mondo, sia lavorativo che personale; e vedere, adesso che mi volto
indietro, che ne ho fatto parte e ne sono stata anche in parte protagonista mi fa
assaporare quella sana fiducia in me stessa senza dovermi per forza sentire una
macchina da guerra che arriva a fine giornata stanca per sentire un po’ di
soddisfazione.

Conclusioni

Questo è quello che ho portato a casa in questo primo anno: poter lavorare in
un’azienda in cui l’ascolto, la fiducia e il rispetto sono impiantati nel DNA, e
soprattutto condivisi tra tutti, per me è stata una ventata di aria fresca perché questi
sono quelli che chiamo ingredienti chiave e base anche nella semplice vita di tutti i
giorni. È stato un anno in salita, qualche sbuffo c’è stato vista la nuova avventura e non nego
che ce ne saranno altri nei prossimi anni, ma quello che posso dire è “Tanto meglio
che sia in salita!” perché so che così avrò ulteriori opportunità di vedere tante altre
facce di un mondo a me ancora misterioso, lavorativo e soprattutto personale, che è lì
solo da scoprire.

Engage Stories – digest 2

Eccoci arrivati alla seconda tranche di #EngageStories, la nostra rubrica di vita vissuta in azienda e sviluppo professionale:

Altri spunti interessanti qui:

Passo dopo passo, quanto si impara

Sono passati tre mesi dall’inizio della crescita aziendale “di massa”, se così vogliamo chiamarla. Quante cose sono cambiate, e quante ancora subiranno variazioni. Avevo una paura folle, mentre ora vedo che é sempre più possibile riuscire nell’intento di crescere in maniera sana, controllata e, soprattutto, mantenendo una certa qualità su quanto é fondamentale per noi: le persone, il rapporto vita/lavoro, la qualità del lavoro, il rispetto reciproco, il team.

Definitele una serie di frasi fatte o stereotipi utili a descrivere “quanto siamo bravi”, ma vi assicuro che non é così. E non lo è per vari motivi:
– siamo una grande azienda? No, per niente, ed eravamo piccini come la maggior parte delle aziende italiane
– siamo leader di mercato? Affatto! Anzi, stiamo lottando per cercare di posizionarci
– abbiamo solo i migliori talenti? Suvvia, e cosa vorrebbe dire? No, abbiamo persone proattive, curiose, che hanno continui conflitti per crescere, anche nei miei confronti (per fortuna).

vogliamo che le persone parlino tra loro, che crescano insieme e che coltivino l’interesse per topic anche non necessariamente in uso o orientati al business

Siamo un’azienda come le altre ma, forse, una differenza c’è. L’investimento enorme (e lo sottolineo) nella selezione del personale, nella crescita professionale di ogni persona, nell’ascolto delle proposte e nell’incitamento all’aiuto, se così vogliamo definirlo “bottom-up”. Vi faccio però una serie di esempi pragmatici per dirvi cosa intendo, perché altrimenti sembra tutto “campato in aria”.

Scalabilità

Dopo la crescita cospicua, serve scalare. Avremo a breve team verticali, purtroppo un po’ isolati tra loro. Ebbene, la nostra prima preoccupazione é stata quella di creare incontri trasversali (workshop, sessioni, ecc.) al fine di non far perdere i contatti tra le persone. Ma non solo, i contenuti erogati saranno proposti da chiunque, su qualunque argomento, da “come fare le presentazioni” a “cos’è React”. L’obbiettivo poi sarà quello di incentivare tutti a parlare e, perché no, a premiare le proposte con un programma di premi interni come corsi, libri, ecc.

Credo che il messaggio sia forte: vogliamo che le persone parlino tra loro, che crescano insieme e che coltivino l’interesse per topic anche non necessariamente in uso o orientati al business, purché possano essere di interesse e spunto di chiacchierate comuni. Ore perse? Non direi. Sono di qualità inestimabile.

Escalation engineers

Dal momento in cui ogni problema cliente, via ticket, arrivava fino a poco tempo fa agli sviluppatori, già impegnati in altri progetti, é nato un team dedicato alla risoluzione di tali problematiche. Il team ha la possibilità di fare proposte quando la problematica é ricorrente, sul backlog di progetto, per poter evitare spreco di tempo, andando anche a definire come essa potrebbe apparire, ad esempio, su un client. Per noi gli item di “proposal” stanno diventando sempre più importanti, perché chi é in prima linea sa bene come il cliente usa il prodotto e sa quello che serve. Ma non solo, gli escalation engineers sono la rampa di lancio per i nuovi arrivi, che grazie a ruoli di triage, primo intervento e testing (sì, fanno anche QA, la parte manuale) conoscono sempre di più quanto facciamo in azienda. E l’onboarding diventa sempre più completo. Anche questo dimostra quanto la persona sia centrale, perché non é semplicemente buttato nella mischia, ma é accompagnato in un processo di crescita, tra l’altro seguito da senior, con l’obbiettivo di capire come proseguire il suo cammino professionale in azienda.

A ognuno ciò che più piace

Di recente abbiamo assunto un ragazzo come backend developer. É alle prime armi tutt’ora, ma, chiacchierando in uno dei miei ricorrenti 1 to 1, é emersa la sua voglia di guardare il frontend. Inutile dire che a breve intraprenderà la strada della formazione e onboarding per la parte client web. Certo, lo possiamo fare perché abbiamo le persone, non posso nascondere questo grande vantaggio, però anche chi è appena arrivato è stato ascoltato. L’azienda aveva le possibilità di ragionarci, ed eccoci qui, a far fare ad una persona quello che davvero, sotto sotto, preferisce. É un win-win, non c’è dubbio.

Annosi problemi ed esercitazioni

Proprio qualche giorno fa abbiamo avuto un serio problema: un nostro collega, al primo turno di reperibilità nel fine settimana, si è trovato malissimo con strumenti e documentazione. Inoltre, durante la gestione dell’urgenza, non è stato allineato a dovere, il che lo ha fatto sentire impotente e completamente a bocca asciutta per il futuro. Questo, per noi, è un enorme ostacolo. Il lunedì successivo si è parlato immediatamente di come mitigare e poi risolvere questo tipo di problemi, grazie soprattutto alla proattività di Roberto che, dall’alto della sua esperienza e umiltà, ha dato una serie di feedback tra i più importanti degli ultimi anni. La nostra reazione è stata quella di creare una card ad alta priorità (massima, per la verità) sulla quale abbiamo già descritto le possibili soluzioni, una delle quali è quella di effettuare ripetute esercitazioni per ridurre la frizione che le problematiche potrebbero dare a chi dovrà affrontare il supporto tecnico nel weekend. Ancora una volta, orientati a migliorare il futuro di tutti, non solo in ottica di qualità e di risposta pronta al cliente.

Conclusioni

Ripeto, siamo grandi? Siamo i migliori? Siamo alla ricerca solo di talenti? Siamo speciali? No. Siamo però persone che si impegnano a migliorare il lavoro di tutti i giorni e le condizioni di ognuno di noi. Da lì poi, tutto é in discesa.

Abbiamo problemi? Eccome! E ancora sono enormi, non vi faccio gli esempi o “facciamo notte”,  ma se l’atteggiamento é quello descritto sopra, credo che la maggior parte possano essere risolti con buona probabilità. Vedremo cosa ci riserverà il futuro, per ora proseguiamo così.

Questi ultimi tre mesi sono stati molto costruttivi per l’azienda, per noi tutti e per me, grazie anche al lavoro sinergico che sto seguendo con Michele. Stiamo raddrizzando molte cose e il suo lavoro è preziosissimo.

La nostra battaglia più dura

Sono passati mesi dall’inizio della missione ristrutturazione aziendale e ormai si vede bene la fine dell’anno. Negli ultimi tempi abbiamo affrontato una crescita aziendale non indifferente, non solo dal punto di vista delle persone, ma anche dei ruoli, dei dipartimenti e della cultura necessaria alla crescita stessa.

Nonostante la considerazione non possa essere definitiva, visto che continueremo a crescere ancora anche per tutto il 2022, posso già affermare che questa quest (glossario da gamer) è stata, e probabilmente sarà, una delle più complesse affrontate nella mia vita professionale. C’è tutto dentro: organizzazione, approccio filosofico/culturale/etico/economico, analisi dei dati, misurazione delle metriche di team, tecnologia, e via discorrendo. Ma alla base, sempre e solo una cosa, le persone.

Mi ricordo con nostalgia quando il mio lavoro era pensare “chissà se i miei test sulle performance rispetteranno i risultati che mi aspetto in produzione” o “come posso scalare con il tal SQL server” o ancora “voglio sistemare quella stored procedure per ridurre il tempo di risposta”. Era comunque molto impegnativo, vero, e senza studio e ricerca costante gli obbiettivi non si raggiungevano. Però era piuttosto deterministico. Diciamo che con un relazionale in certi casi hai quel dipende che i fan delle regole scolpite non digeriscono, ma era ancora macchina, software e tecnologia in generale. Oggi il mio lavoro è cambiato, un po’ per necessità, ma anche, in parte, per piacere e per sfruttare meglio la mia forma mentis, tutto sommato orientata all’organizzazione e all’ottimizzazione.

Scrivo questo post per condividere alcune riflessioni su quanto sia importante muoversi bene in contesti di migrazione come quello che stiamo vivendo, contesti in cui anche l’influsso di cambiamenti radicali a livello sociale (vedi pandemia) ci pone di fronte a scenari del tutto nuovi, con sfide non previste e difficoltà mai avute.

In passato molti di noi bramavano la possibilità di lavorare in remoto, di avere trattamento e approccio smart, di essere più indipendenti da tempo per ragionare ad obbiettivi. Oggi, alcune di queste condizioni sono fisiologicamente diventate uno standard, per la maggior parte accettate come nuovo modello. Altre hanno toccato l’esagerazione, come il non vedersi più di persona nemmeno quando possibile/importante, il numero delle call conference, il fatto di avere tutto e subito, sempre online. E ora, il metaverso (concetto che io ricordo dagli anni 90 da un romanzo intitolato Snow Crash) e tutte le innovazioni che, come la storia ci insegna, vengono idolatrate e demonizzate da chi, rispettivamente, vede solo vantaggi o tragedie apocalittiche. Oggi, comunque, abbiamo la gara a quello che va di moda e i social sono la monoposto con cui parteciparvi.

Ma crescere e cambiare vanno ben oltre questo. Quando abbiamo dovuto agire per predisporre un nostro percorso, non dormivo la notte, per paura (che ho tutt’ora) di una implosione aziendale e/o di non essere all’altezza. Il primo problema è stato avere una deadline stretta, che ci ha dato un ritmo atipico per fare selezione del personale. Per fortuna, la possibilità di lavorare da remoto con pochi requisiti di presenza ci ha dato il quid per venirne fuori egregiamente, visto che il resto è già people-first fin da quando abbiamo avviato l’attività. Le persone aggiunte seguono tutte i nostri principi, e non potremmo scegliere diversamente, pena “non remare tutti nella stessa direzione”.

Ma il vero problema, che é quello per cui ho fatto più fatica e che tuttora mi tiene sotto battuta, è stata la scalabilità dei nostri processi in essere. Ah, come funzionavano bene quindici persone fa! Da qualche tempo, invece, ogni cosa aveva iniziato a rallentare, si avevano stalli continui, la consapevolezza trasversale calava sempre di più e le prime reazioni precipitose rischiavano di portare a figure gatekeeper. Forse è naturale arrivare a ciò nella mente di tutti noi, a prima vista. Ma per chi crede nei principi della cultura DevOps e osserva più a lungo la situazione, questa non può essere la soluzione.

Ed è qui che abbiamo deciso di cambiare seriamente. Nessuna reorg, nessuna variazione all’organigramma. La gerarchia è rimasta piuttosto piatta, e non ci siamo fatti sopraffare dalla voglia di adattare il software sulla base della struttura aziendale (Team Topologies e la legge di Conway). Al contrario, abbiamo aggredito i problemi uno ad uno, cambiando a volte il processo, altre volte le abitudini. Abbiamo incluso persone nuove, con tanta esperienza sia con lo strumento (Azure DevOps) sia con le migrazioni culturali in realtà ben più grandi della nostra, abbiamo destabilizzato, di certo, ma stiamo già percependo i risultati. Per non dimenticare che l’appoggio del mio socio Michael Denny è stato indispensabile. I principi condivisi dall’azienda partono, in fondo, da noi due.

È importante avere una cultura aziendale condivisa in termini DevOps, ancor prima di pensare a qualunque strumento o prodotto. E non basta il coraggio, non serve il controllo gerarchico, ma un vero team di persone affiatate e pronte all’adattamento

La prossima retrospettiva verrò certamente rimproverato per l’impeto e la spinta rivoluzionaria, insieme a chi ha fatto sì che questo accadesse (il collega e amico Michele Ferracin, che mi ha consigliato anche il libro di cui sopra). Non potrò dare torto a chi lo farà; i cambiamenti fatti, forse, potevano essere affrontati con meno foga. Il fatto è che il processo antecedente alle modifiche non sarebbe più stato sostenibile e il rischio sarebbe stato quello di incappare in scelte da punto di non ritorno. Ho trattenuto il fiato e, credetemi, rispetto al quantitativo di variazioni, sono stato praticamente trasparente.

E ora? Beh, abbiamo una kanban board ben fatta, che rispecchia perfettamente un processo semplice, meno stati, meno informazioni inutili, meno dispersione e più consapevolezza trasversale. Certo, dobbiamo pulire gli arretrati, ma il peggio é passato. Siamo anche pronti a ridurre il numero di strumenti, perché essi sono stati semplicemente un supporto per la nostra cultura, sempre molto forte.

Con questo post, in conclusione, volevo sottolineare quanto sia importante avere una cultura aziendale condivisa in termini DevOps, ancor prima di pensare a qualunque strumento o prodotto. Senza questa radicata visione, la nostra azienda non sarebbe mai riuscita a reggere la crescita fino ad ora, né tantomeno a cambiare radicalmente pur mantenendo senza implodere. E non si tratta di hard skill, ma di un duro e prolungato lavoro di persone che remano dalla stessa parte, da oggi ancora più in maniera coerente e sincronizzata. Non basta il coraggio, non serve il controllo gerarchico, ma un vero team di persone affiatate e pronte all’adattamento.

Essere smart

Viste le recenti uscite sui social in materia di remote working, sento la necessità di condividere con voi una serie di pensieri e di considerazioni che mi frullano nella testa. Il momento storico è particolarmente delicato, la stretta morsa della pandemia si sta allentando e all’orizzonte vediamo la luce. Ma non solo, l’imminente (e chi lo sa in realtà) e totale apertura delle attività spingerà a fare i conti con una scelta tra un “ritorno al passato” o un vero e proprio “rinnovo”.

Nemmeno una pandemia riesce a farci cambiare per il verso giusto

Si leggono esternazioni su quanto i lavoratori dipendenti non siano produttivi o concentrati da casa e, allo stesso tempo, post in cui per alcuni le aziende siano considerate retrograde perché non capiscono il valore aggiunto della pratica del lavoro remoto. Vediamo anche forti critiche a realtà che hanno visto nella pandemia solo una costrizione a vivere una condizione a cui non erano abituate, accuse sulla loro necessità di avere totale controllo delle persone che operano in loco a discapito della salute delle stesse, considerazioni sugli sprechi che potrebbero essere evitati e via discorrendo. Ovviamente da una parte e dall’altra.

Il tono polemico e accusatorio assunto da ambo le parti non porta a nulla e la prima constatazione che mi balza in mente è che nemmeno una pandemia riesce a farci cambiare per il verso giusto. Vale probabilmente in tutti i contesti, ma soprattutto ora viene da chiedersi “perché non stiamo facendo analisi retrospettive sull’accaduto?”. È come se avessimo trattenuto il fiato fino a risalire in superficie e ritornare a respirare. La pseudo conversione culturale che abbiamo affrontato tutti quanti, volenti o nolenti, non è paragonabile a un soffocamento, anzi! È vero che in molti hanno sofferto, tanti non ce l’hanno fatta a superare il momento e tantissimi probabilmente rischieranno di perdere il lavoro. Purtroppo però non possiamo farci nulla direttamente, quindi, per chi ha avuto la fortuna e la forza di passare indenne questo paio di anni, perché non cogliere l’occasione per migliorarsi, per provare a cambiare, per capire le condizioni di tutti gli attori e per fare critiche sì, ma costruttive?

Ancora una volta si finisce sul concetto di cambiamento, non se ne può fare a meno. E nuovamente conflitti sui punti di vista, non per forza complementari ma di certo in contrasto per quanto riguarda il succo centrale della situazione: lavorare fuori dall’ambiente ufficio.

Un datore dovrebbe ragionare ad obbiettivi, ma siamo sicuri che sia sempre corretto affermarlo e che, tra l’altro, sia possibile in ogni caso applicare questo pattern? Un lavoratore dipendente dovrebbe garantire presenza ad orari fissi, indipendentemente da quello che fa, ma siamo sicuri che non ci sia una soluzione migliore? Chi é in team dovrebbe partecipare con gli altri membri nelle stesse fasce di orario, ma se i fusi orari sono differenti? Ho letto su alcuni post che “una grande azienda può definirsi tale se lascia decidere il miglior posto di lavoro al dipendente”, ma siamo certi che tutti i dipendenti vogliano questo e che, più in generale, sia una sentenza corretta in ogni caso? Non so, non ho di certo la conoscenza in mano, ma a mio modo di vedere frasi così dirette e sicure come si leggono qui e là lasciano il tempo che trovano, e si tramutano in critiche non costruttive simil-motivazionali, per fare un po’ di rumore sulle varie piattaforme. Ognuno é e deve essere libero di esprimere il proprio pensiero, ma allo stesso tempo deve essere pronto a ricevere commenti e, sperabilmente, ad affrontare una discussione.

Detto questo, datori e lavoratori dipendenti ne hanno vissute di cotte e di crude. Chi, come il sottoscritto, ha vissuto da entrambi i lati per anni, può capire quanto sia fondamentale eliminare quel muro che si viene a creare tra le parti. Un po’ come vale per DevOps, abbattere i confini, comunicare e condividere, fluidificare, scegliere insieme per il bene e il benessere di tutto e tutti, imparare di continuo dalle esperienze fatte, sono i mantra su cui ogni vita lavorativa dovrebbe basarsi ogni giorno.

Insomma, é vero che lo stress sta uccidendo chi si deve (talvolta) inutilmente recare sul posto di lavoro, spesso lontano. É altresì importante il fatto che il nostro pianeta risenta anche dell’emissione di polveri sottili derivanti dal trasporto autonomo. E infine, é ovvio che il tempo e le energie sprecati per viaggiare rendono chi lavora terribilmente meno performante. Ma vediamo anche l’altra faccia della medaglia: siamo sicuri che lavorare solamente da casa (o da dove ci sentiamo meglio) anche per stare con la nostra famiglia il più possibile, sia veramente la soluzione? Sicuri che la qualità di quel “vedere la nostra famiglia” sia così alta? Dobbiamo pur sempre lavorare e, almeno mio figlio, non é che abbia potuto godersi il suo papà così tanto. Allo stesso tempo, io ho visto in maniera sfocata la sua crescita, non presente mentalmente. Questo non genera stress? Siamo certi che il consumo elettrico, il riscaldamento invernale e il raffreddamento estivo aumentati nelle nostre abitazioni sia così poco dannoso in termini di emissione? Abbiamo tutti controllato che chi ci eroga energia non lo fa, ad esempio, con combustibile fossile? E in inverno, accendiamo magari stufe a pellet, la cui combustione non é per nulla ecosostenibile! Quelle stufe magari potevano starsene spente. Per chiudere, le performance sono migliori evitando gli sprechi della nostra energia in viaggio nel traffico, potendo magari risposare meglio, vero, ma il side effect del lavorare molte ore in più (perché se non si é disciplinati temo si finisca con il lavorare molto più tempo) é proprio quello di ridurre drasticamente le nostre capacità cognitive e di focalizzazione, fatto estremamente deleterio per chiunque lavori con ragionamento, pensiero e creatività.

L’idea è semplicemente basata sul pattern inspect and adapt, ovvero osservare con cura, capire e, sulla base dell’ispezione, adattarsi alla situazione.

Non dico che vi sia una soluzione definitiva e oggettiva. Non ho il sapere in mano, però mi sono fatto qualche idea negli ultimi tempi sulle persone che fanno parte della nostra realtà e i clienti che ho conosciuto. Come spesso accade, seguire la via ibrida, risulta essere la scelta più efficace ad un costo più che accettabile. Ibridazione ed elasticità sono due caratteristiche a mio avviso fondamentali quando si tratta di rapporto di lavoro e di base per poter parlare di smart (termine più che abusato e utilizzato in maniera errata) ma il tutto dovrebbe essere supportato da un modo di vivere l’azienda consapevole da parte di tutti i membri, dal vertice alla base. E una serie di strumenti collaborativi aiuta ancora di più nella comunicazione dello stile di vita in e con l’azienda. L’idea è semplicemente basata sul pattern inspect and adapt, ovvero osservare con cura, capire e, sulla base dell’ispezione, adattarsi alla situazione. Così facendo si ottiene una personalizzazione elevata sul lavoro delle persone, con un equilibrio tra presenza in ufficio e lavoro remoto, partecipazione in team e fusi orari differenti, il tutto a supporto delle esigenze aziendali e personali e supportato da strumenti collaborativi, come chat (slack, Teams, ecc.), strumenti per videoconferenze (zoom, Teams, meet, ecc.), strumenti di gestione attività e sviluppo (Azure DevOps, Trello, Jira, ecc.) e via discorrendo. In fin dei conti, è importante ascoltare le persone per metterle nelle condizioni di lavorare al meglio, a pro dell’azienda e delle persone stesse. Cosa meglio di una soluzione ibrida può supportare questo?

Concludendo, abbiamo gli strumenti, possiamo affrontare tutto quanto descritto con un cambiamento culturale graduale e non da farsi tutto e subito, dovremmo ridurre sprechi, aumentare il benessere delle persone e quindi anche quello aziendale. Con i dovuti spunti e le osservazioni di ciò che accade nelle nostre realtà, potremmo cogliere finalmente un’occasione per una trasformazione più naturale e meno polemica di come la stiamo vivendo. Avrà dei costi, ma il ritorno dell’investimento credo che sia impagabile.

Del salutarsi da adulti

Pochi giorni fa, in pausa caffè, uno dei ragazzi mi ha detto quanto segue: “mi sono stupito di quanto siano stati vissuti nel buon umore gli ultimi giorni in azienda di Peter”. Eh sì, seppure Peter sia un nome di fantasia, il suo lavoro con noi è terminato dopo pochi mesi. In passato, anche altri componenti del team hanno seguito strade differenti dalla nostra, persone forti e con noi da tanto tempo, e anche in quel caso mi sono chiesto “ha senso scrivere di questi episodi?”. Perché è piuttosto semplice ostentare sicurezza e fierezza quando si ha il vento in poppa, ma che implicazioni ha, invece, la fine di un rapporto di lavoro in cui tutto è fondato sul team building e sul team working?

Questo non è un post che sottolinea chi ha sbagliato cosa o che punta il dito su persone; non vuole esserlo nella maniera più assoluta. Tantomeno cercherò scuse o scappatoie, anzi, le condizioni che si vengono a creare in tali esperienze formative (e lo sottolineo) dimostrano il livello di maturità a cui si è arrivati come azienda, persona e figura responsabile del team che le vive. Attenzione, questo livello non è necessariamente buono, ma almeno si spera che il trend sia di crescita continua.

Quindi, perché scrivo? Semplice, perché dopo aver ricevuto la notizia da Peter ho pensato. Tanto. Ho fatto retrospettiva individuale, ho rivissuto i modi di pormi a lui, ho valutato come lui è stato collocato, seguito e vissuto dai suoi colleghi. Scrivo perché se da una parte ho avuto il dispiacere di veder partire nel tempo altri colleghi, dall’altra faccio un incredibile tesoro delle esperienze.

Per ovvi motivi non faccio alcuna menzione alle motivazioni che hanno spinto i ragazzi ad andarsene ma posso dire che ognuno ha avuto il proprio particolare trigger, ognuno dei quali ha fatto crescere l’azienda. Credo di poter dire che siamo una realtà totalmente orientata alle persone e al lavoro di squadra, che ci sono tanti stimoli tecnici, così come sono fermamente convinto che ognuno dei problemi che ovviamente abbiamo venga sempre affrontato, discusso e risolto nel tempo. L’ascolto per me è fondamentale ed è quello che fa crescere. Ed è proprio grazie a questo che, nonostante talvolta le persone cambino strada, l’azienda si comporta in maniera resiliente.

Ma torniamo alla frase di apertura; come mai è stato tutto normale fino al giorno della fine del rapporto? Come mai non c’è stata guerra e perché mai la persona che se ne sta andando da lì non è un “traditore”? Beh, mi stupirei del contrario, eppure, sembra che qualcuno sia stato etichettato in vari modi quando ha scelto di cambiare in molte realtà.

È stato come ogni giorno con Peter e con tutti gli altri perché, anche se ovviamente siamo feriti (a volte anche in difficoltà), prima di tutto siamo adulti e ognuno di noi è diverso, un piccolo grande universo di idee e di punti di vista. Per quale motivo una persona non deve poter cambiare senza subire un’etichetta? E anche se fosse per motivi che a noi appaiono futili o venali, chi ci giustifica ad essere giudici delle vite e delle scelte altrui? Per alcuni di voi saranno frasi fatte, per altri retorica, fa lo stesso. Posso dire che anche Peter ha fatto di tutto per essere di aiuto fino alla fine e la sua predisposizione e professionalità hanno fatto sì che il nostro rapporto non si interrompesse in malo modo. Noi investiamo in persone e rapporti umani,e se perdiamo nel cammino persone che scelgono di cambiare, beh, preferiamo augurare loro un grande in bocca al lupo!

Our 2021

Everyone was waiting for this 2021, 2020 has been one of the worst year ever due to the Coronavirus pandemic. We need to start from scratch, both for relationships and professional development.

Due to the COVID-19, I have lost relatives and also some of my relationships with my fellows. From a professional perspective, I’ve travelled less, worked mostly in remote-working and I’ve invested in making our daily work in our company smarter. Anyways, we’re speaking about two sides of the same coin: trouble Vs opportunity.

For tech companies, the crisis has been a great opportunity. The disease has triggered (forced to be honest) a set of unstoppable changes. This is true also for Countries’ governments, school, services in general. At the same time, many small businesses and craftsmen stopped working due to lack of consumers. The world is changed and is going to change more and more. The change is killing someone and is testing severely the resilience of the others.

Luckily, our company is still alive and we are growing. I’ve learned many lessons in terms of recruitment, team management, tech stuff, project management. I’ve started to change my mind about multi-tasking and I’ve switched from many things at “the same time” to “the right number of things well managed” (but not only one 😉 I’m not yet able to follow such pattern).

We have dealt with the second big step of scaling out. Our organization is becoming bigger and more structured. The model is still flat, but now each individual is in charge of a single role. As a result, the quality of the product is improved, people are more focused and committed, but on the other hand, the time to market has increased. We have added a new role, which orchestrates the projects into the roadmap, increased the number of POs, created an R&D department, and fully involved Operations guys into the lifecycle (thanks Wikis!). All this stuff has been the game-changer for us.

It’s been so difficult to learn and cover so many topics, but we’ve accomplished our mission. Now we’re ready for the next year with many ideas. We already know that our team will grow more, and we’ll require new approaches. We know that we will deal with teams in different timezones and languages, so what is “smart” now, must become “smarter” tomorrow. Exciting, for sure!

Why am I writing this post? Not just to wrap-up something that happened this year. I would share with you that, starting from February 2021, Engage Labs (this will be our new name) will publish our guys’ blog posts periodically (in Italian language). Our great team will cover many topics, like professional development, lessons learned in the company, technology, and so on. We are a DevOps oriented organization and we would like to let our guys describe themselves.

So, stay tuned😉

Engage stories

Come promesso, sta per partire una nuova serie, chiamata Engage stories, in cui il team di Engage tratterà tanti argomenti, come lo sviluppo professionale e la carriera, le lezioni imparate sul campo, le impressioni derivanti dal cambiamento che ognuno ha dovuto affrontare, e via discorrendo. Siamo un’azienda orientata alla cultura DevOps perciò daremo spazio ai nostri ragazzi affinché raccontino qualcosa che, sperabilmente, sarà interessante per chi lavora nel settore informatico.

Benvenuti in Engage stories!

Stay tuned 😉